Il keyword stuffing, per definirlo in modo essenziale, è la pratica di inserimento eccessivo (spesso innaturale) di parole chiave all’interno di un testo. Si tratta di un procedimento che in passato riusciva a manipolare in positivo il posizionamento delle pagine web sui motori di ricerca. Ma oggi, con gli algoritmi sempre più evoluti, è diventato invece causa di penalizzazione.
Di fatti, se ad una prima idea possa sembrare utile farcire i propri contenuti di parole chiave forti, la realtà dimostra come gli effetti di questo procedimento siano del tutto negativi. Il lettore si troverà infatti dinanzi ad un testo poco fluido, mentre i motori di ricerca noteranno il trucco e bolleranno le pagine del sito come scarse. Il risultato, come possiamo immaginare, sarà pessimo.
In passato, il keyword stuffing era considerato un modo semplice per scalare la SERP, ossia la “vetrina” dei risultati sui motori di ricerca. Ma, come accennato, gli algoritmi moderni, tipo Google Panda e Hummingbird, hanno affinato la loro capacità di identificare contenuti di scarsa qualità, penalizzando le pagine che adottano queste strategie.
Il tempo e la pratica hanno portato i motori di ricerca ad evolversi, con l’intento di proporre contenuti sempre più in linea con le richieste degli utenti. Il keyword stuffing, che va contro i principi di un testo autentico e pertinente, è quindi diventato non solo inefficace, ma proprio dannoso. Ma ancora c’è un velo di confusione in merito a questo aspetto.
Indice
Il keyword stuffing e la penalizzazione Google

Tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del 2000, con l’ascesa dei motori di ricerca, il keyword stuffing divenne una strategia diffusa per scalare le pagine dei risultati. All’epoca, gli algoritmi valutavano soprattutto la densità delle parole chiave, premiando i siti con una maggiore frequenza di termini correlati alla ricerca. La strategia includeva:
- Ripetizioni eccessive di parole chiave in blocchi di testo
- Utilizzo di parole chiave nascoste, ad esempio testo bianco su sfondo bianco
- Manipolazioni nei meta tag e nelle descrizioni
Come si può immaginare, tale pratica rendeva l’esperienza del lettore di bassa qualità, portando Google a correre ai ripari. Era il 2003 e l’algoritmo Florida vedeva la luce. Si trattava della prima monumentale svolta in termini di classificazione dei siti, andando a penalizzare keyword stuffing e altre tecniche di manipolazione.
Da allora si contano altri tre maxi aggiornamenti. Il primo è Google Panda, nel 2011, che andava a premiare ancora di più la qualità dei contenuti, il secondo Hummingbird, del 2013, algoritmo basato sulla comprensione del significato semantico, piuttosto che sulla semplice corrispondenza di parole chiave.
Si deve attendere il 2016 per vedere una nuova evoluzione: nel 2012 era nato Google Penguin, per combattere lo spam nei link e il keyword stuffing. Ma è solo quattro anni più tardi che lo si integrerà nell’algoritmo principale. Ora Google poteva garantire una valutazione della qualità dei contenuti e dei link in tempo reale, con penalizzazioni rapide per i furbi del quartierino digitale.
Cosa avviene in tempi odierni: il keyword stuffing e la SEO

Lo avevo già accennato nell’articolo dedicato alla SEO, ma ci tengo a ripeterlo: il buon Google non aggiorna gli algoritmi per cattiveria. Il senso dei suoi update sta nel migliorare sempre di più la user experience e dare all’utente i contenuti di suo interesse, completi, affidabili, fluidi da leggere, ottimizzati a 360 gradi.
Dal 2003, con l’aggiornamento Florida, fino ai più recenti Penguin e Hummingbird, Google ha lavorato sodo per individuare le pratiche scorrette e penalizzarle. Se un sito adopera il keyword stuffing, nei casi minori deve prevedere una perdita di posizionamento, o anche, in quelli più gravi, una deindicizzazione.
Va infatti rammentato che Google valuta, ad oggi, il contesto e non solo le parole chiave, grazie al già citato Hummingbrid, ma anche a RankBrain del 2015. In questo caso l’algoritmo si basa sul lavoro delle intelligenze artificiali, in grado di condurre una buona analisi semantica e migliorare la pertinenza dei risultati.
L’obiettivo di Google è offrire risultati utili e pertinenti a chi adopera la nota barra di ricerca del motore e clicca su invio? Un sistema di algoritmi sempre più raffinati è in grado non solo di riconoscere il keyword stuffing e considerare come spam un sito che lo adopera, ma anche e soprattutto di premiare chi invece redige i contenuti in modo completo e ottimale.
In poche parole, se volete che il vostro sito “abbia fortuna” agli occhi dei motori di ricerca, evitate il keyword stuffing. Al contrario, abbiate cura di redigere testi che siano piacevoli da leggere, che rispondano alle domande della rete in modo efficace e che puntino sull’equilibrio per la presenza delle parole chiave. In media stat virtus: lo dicevano i latini, ma anche Google approva.